ILVA e acciaio in Italia: The Great (attempted) Indian Swindle

Come la più grande acciaieria d’Europa rischia di completare la sua rottamazione (e come l’Italia, da 5a. potenza industriale al mondo, si farà deserto)

ILVA e acciaio- indian swindle

Deserto Italia: ILVA e acciaio

Ricevo e pubblico volentieri

Abbiamo già trattato la “questione ILVA” e lo stato ad oggi delle privatizzazioni dell’acciaio pubblico (Ilva Piombino, Ilva Terni e, in parte, Ilva Taranto).

Per quanto attiene Ilva Taranto avevamo già espresso, negli stessi scritti citati, le nostre opinioni sul suo destino e ora, con un documento in più in nostre mani prodotto da Arcelor Mittal stessa e che illustra impegni e strategie industriali di qui al 2024, quelle stesse opinioni ci vedono ancora più convinti.

Un «futuro “sostenibile” per ILVA»

Il documento di cui parliamo – “Costruire un futuro sostenibile per Ilva” – è una presentazione interministeriale in power point effettuata da AM stessa al nostro Governo. Si tratta di un documento che illustra gli impegni aggiuntivi che AM sarebbe stata disposta ad assumersi nei confronti dei Commissari Straordinari di ILVA in Amministrazione Straordinaria e che avrebbero formato oggetto delle negoziazioni concluse nei giorni scorsi con l’annuncio del raggiunto accordo da parte del Governo.

Se quest’ultimo avesse accettato e sottoscritto quanto descritto nella presentazione, ci troveremmo di fronte ad una conclusione davvero imbarazzante e che giustificherebbe appieno il titolo di questo articolo, questa volta senza “attempted” .

In particolare, la slide n. 5 (Addendum: Impegni assunti da Arcelor Mittal) è la chiave di volta per capire le reali intenzioni di Mittal. Vediamo cosa vi sta scritto (le note sono nel testo):

a) Eliminare (1) le fonti di inquinamento attraverso l’implementazioni delle misure di tutela ambientale.

La nota (1), nel testo della presentazione, ci chiarisce il significato conferito alla parola “Eliminare” che per AM vuol dire in realtà eliminare o ridurre al minimo possibile. Esiste un minimo possibile? Chi lo sancisce? Si tratta in tutta evidenza di una misura discrezionale e non riferita ad alcuna norma o regolamento.

b) Vincolare l’incremento della produzione per il periodo successivo alla durata del piano(3) all’impiego di processi di produzione alimentati a gas o di processi alternativi a basso utilizzo di carbone.

Qui siamo in presenza di un vero capolavoro: la nota 3) afferma quanto segue: “ArcelorMittal si impegna, anche per il periodo successivo alla durata del piano industriale, a mantenere la produzione dell’acciaieria a ciclo integrato ad un livello non eccedente gli 8 mln di tonnellate di acciaio liquido annue, fermo restando la possibilità di ulteriormente incrementare tale livello produttivo mediante l’impiego di processi di produzione a basso utilizzo di carbone (es. gas naturale) verificate le relative condizioni di sostenibilità tecnica ed economica.”

Le intenzioni di Arcelor-Mittal

In buona sostanza, AM ci dice che manterrà la produzione di ILVA al di sotto di 8 mln tonn. di acciaio liquido/anno (Ricordiamo en passant che ILVA pre-crisi produceva 15 mln di tonn./anno).

Tradotto, ciò significa che Ilva potrebbe anche produrre 0 mln. di tonn. di acciaio liquido/anno: vediamo solo un limite superiore ma in nessuna parte è menzionato un limite inferiore.

In seconda battuta, la slide n. 5 ci dice anche che, ove, a giudizio di AM stessa, si volesse superare la soglia produttiva di 8 mln. tonn./anno, e una volta verificate le condizioni di sostenibilità tecnica ed economica, AM sarebbe vincolata a scegliere (opzione insindacabile di AM) se impiegare processi di produzione basati sull’utilizzo del gas (frase ambigua: l’unico processo basato su gas è la Riduzione Diretta e andrebbe perciò specificato con chiarezza), oppure su processi alternativi a basso uso di carbone.

Su quest’ultimo punto è bene fare chiarezza: i processi a basso uso di carbone di cui si parla qui sono processi utilizzati in India come surrogato della Riduzione Diretta e dove, al posto del gas, si usa il carbone come agente riducente del minerale di ferro (che è costituito da ossidi di ferro) a ferro metallico. Inutile dire che si tratta di un processo certamente meno costoso della Riduzione Diretta e ad altissima produzione di CO2 e altri inquinanti. Questa opzione non va assolutamente lasciata ad AM.

Produzione di inquinanti: i conti non tornano

Richiamiamo qui il significato di processo a Riduzione Diretta (DRI, Direct Reduced Iron) già illustrato in precedente articolo: questo consiste nell’ottenere ferro metallico che non è disponibile come tale in natura, a partire dal minerale di ferro che è dato in forma di Ossidi di Ferro (Ferro combinato con Ossigeno).

Nell’impianto DR (Direct Reduction), il minerale è attraversato da una corrente di Gas Naturale (CH4) in cui l’Idrogeno H2 ha una forte azione riducente sugli ossidi di ferro dai quali rimuove l’Ossigeno per darci Ferro metallico (DRI, Direct Reduced Iron) e vapore acqueo (H2O) nonché CO2 e CO. Il Ferro metallico (DRI) così ottenuto viene poi caricato nel Forno Elettrico, attraverso il quale otteniamo l’acciaio liquido.

A differenza del processo a ciclo integrale da Altoforno (che è quello impiegato a Taranto e che AM intende mantenere) ove si fa reagire il minerale di ferro con carbone ad alta temperatura, con la Riduzione Diretta si ha che l’effetto delle reazioni chimiche che vi si vanno a produrre è tale da ottenere una riduzione di 2/3 nelle emissioni di CO2, nonché l’assenza di polveri inquinanti prodotte dalla combustione del carbone.

Nella slide n. 6, si fa menzione al fatto che nel ciclo integrale introdotto da AM si ha una riduzione del 15% nelle emissioni di CO2: riservandoci di verificare questa asserzione sulla base di informazioni più precise che Mittal dovrà fornire, facciamo notare che questo valore risulta semplicemente inaccettabile a fronte della riduzione di CO2 del 65% , ottenuta tramite il processo da Riduzione Diretta (DR).

Va infine fatto notare che, nel processo da DR, l’assenza della cockeria, degli impianti di agglomerazione e dei convertitori ad O2, ha come effetto globale quello di ridurre in maniera pressochè totale l’emissioni di polveri: ricordiamo infatti che è oggi possibile, mediante l’impiego di impianti abbattimento fumi prodotti dalla tecnologia italiana, ottenere una presenza di polveri inquinanti al camino dei forni EAF inferiore o al massimo uguale a 1 mg/Nm3 (un milligrammo per metro cubo di fumi emessi al camino). Infine, l’assenza di cockeria e degli altri impianti ad essa collegati, rende inoltre pari a zero l’emissione di diossina (Mittal parla di una riduzione del 50%)

Non staremo qui a spendere nemmeno una parola su tutta la fuffa trattata nelle slide seguenti a proposito di “Economia Circolare”: si tratta infatti per lo più di pratiche già impiegate da decenni in tutti gli stabilimenti siderurgici a ciclo integrale.

Si pensi solo al riutilizzo della scoria negli asfalti e nel “cemento Portland”, pratica risalente addirittura agli anni ‘30.

Decontaminazione e bonifica

Ambigua oltre l’accettabile la formulazione risultante dalla slide 19 circa le opere di caratterizzazione suolo e acque nonchè i lavori di decontaminazione. Questi ultimi verrebbero effettuati con una contribuzione fino a 200 mln. Euro da fondi di bonifica (si presume dello Stato) già previsti, mentre la relativa caratterizzazione, sempre effettuata da AM stessa, dovrebbe portare all’effettuazione di interventi elencati in una lista da a) ad e) che, con l’artificio dell’uso dell’opzione e/o vengono decisi in pratica a discrezione sempre di AM.

Risibile poi il contenuto della slide n. 23, con l’evocazione della “necessità” di un “sostegno istituzionale” per la realizzazione di misure di “economia circolare” le quali, come riportato più sopra, sono pratica comune presso tutte le acciaierie.

L’ufficio tecnico è un “Centro di Ricerca”

Nelle slide 34 e 35 viene illustrata l’attività di un cosiddetto “Centro di Ricerca” da istituire e dei relativi fondi annuali da investire (10 mln. Eur). Si tratta, né più e né meno, di un normalissimo Ufficio Tecnico che ogni acciaieria o, in generale, ogni attività industriale di quelle dimensioni dovrebbe possedere. In ogni caso non si fa menzione alcuna ad impegni in tal senso che vengano assunti da AM, limitandosi ad una pura elencazione dei relativi compiti e attività. Lo stesso accade nelle slide da 39 a 42 ove vengono elencati interventi da realizzare e relative spese e tempistiche (queste ultime pure soggette a variazione): peccato non venga menzionato in alcuna parte, alcun impegno fermo ad effettuarle.

I “rapporti sindacali”

Si è volutamente tenuto alla fine un cenno anche alla slide n. 32 (Procedura Sindacale), che è un po’, almeno secondo chi scrive, la summa della filosofia AM in tutta quanta la trattativa: AM “supporterà il raggiungimento di ogni idonea soluzione” sempre “Tenendo conto della sostenibiltà del Piano Industriale di Arcelor Mittal”. In questo caso si riferisce agli impegni sull’occupazione.

Ritorniamo sempre, con buona pace di tutti, a quanto visto a proposito della slide n. 5 dove per “Eliminazione delle fonti di inquinamento” si intende sempre e solamente eliminazione o riduzione al minimo possibile (che nella sua genericità non significa assolutamente nulla) e dove non è posto alcun limite inferiore alla produzione, che potrebbe pertanto essere azzerata.

Inoltre, in caso di superamento dei livelli produttivi oltre 8 mln. di Tonn/anno di acciaio liquido, si “valuterà la sostenibilità tecnica ed economica” degli investimenti atti a ridurre l’inquinamento che ne deriverebbe.

ILVA e Acciaio: occupazione non garantita 

Tradotto in linguaggio corrente, tutto ciò significa che il compleso siderurgico di Taranto rimarrà in vita fintantochè vi sarà un mercato italiano da alimentare e purchè tutto quanto non vada a confliggere:

  1. con gli interessi delle altre acciaierie Mittal in Europa
  2. con la sostenibilità tecnica ed economica di un impianto a ciclo integrale obsoleto e, per definizione, costoso, inefficiente ed inquinante oltre il lecito.

Se quanto sopra non è sufficiente, rimane poi infine il grande problema di un’acciaieria che, nell’anno 2019, intenderebbe produrre fino a massimo 8 mln. di Tonn./anno (d’ora in avanti MMTa) con 11,400 addetti, con un rapporto di 701 Tonn. acciaio liquido / addetto / anno.

Più facilmente l’acciaieria si attesterà su di una produzione annua tra 3 e 5 MMTa di acciaio liquido, più realistica ed in linea con la lenta ed inesorabile de-industrializzazione dell’Italia.

In questi casi avremo una produzione annua per addetto di, rispettivamente, 263 T / addetto /anno e 438 T /addetto / anno.

Acciaieria

Produzione (MMTa)

n. Addetti

Produttività/addetto

(T/addetto/anno)

Ilva

5

11,400

438

Arvedi

2.8

1,400

2,000

Big River Steel

1.6

525

3,047

Tab. 1: Produttività per addetto in acciaierie con analogo prodotto finale

Se si pensa a quanto abbiamo già detto per le acciaierie Big River Steel (Arkansas, USA) e Arvedi (Cremona, Italia) con analogo prodotto finale, abbiamo la situazione illustrata nella Tabella. 1 di cui sopra.

Si tratta, come si può ben vedere, di una configurazione del tutto irrealistica e che confligge in maniera almeno imbarazzante con l’impegno di Mittal a mantenere tutti gli 11,400 addetti. Una moderna acciaieria a ciclo integrale che parta da Riduzione Diretta e impieghi Forni Elettrici ad Arco (EAF) per la produzione di acciaio liquido, nonché tutte le successive lavorazioni a valle, vale a dire laminazioni e finiture, non richiede più di 2,600/3,000 addetti ad essere generosi.

Pensare che la vicenda Ilva-Taranto possa davvero avere esito diverso da quelli di Ilva-Piombino e Ilva-Terni diventa, se non frutto di dabbenaggine, almeno autolesionistico, ammenochè non si intenda dar credito a che ci vede complotti aventi lo scopo di de-industrializzare l’Italia intera.

Il precedente Bekaert

Merita infine, ed a questo proposito, accennare solamente a quanto vediamo giornalmente accadere sotto i nostri occhi.

Un episodio significativo ed esemplificativo di quanto affermato più sopra, è quanto abbiamo appreso di recente circa la chiusura dello stabilimento Bekaert di Figline Valdarno: Bekaert è uno dei maggiori produttori mondiali di “steel cord” il quale altri non è che il cordino di acciaio che viene inserito all’interno degli pneumatici, al fine di aumentarne resistenza agli urti e alle altre sollecitazioni di varia natura, nonchè al fine di alleggerirli riducendo l’impiego di gomma.

Questo cordino risulta dall’intreccio di innumerevoli fili di acciaio ciascuno di diametro che va da 0.20 mm fino a 0.80/0.90 mm e a volte anche oltre.

Per ottenere fili di diametro così sottile e di adeguate (elevate) caratteristiche meccaniche, occorre partire da vergella di un acciaio di altissima qualità e senza inclusioni di sorta, quale per l’appunto quella prodotta da acciaierie a ciclo integrale da minerale di ferro (processo da Altoforno o da DRI) come era Ilva-Piombino.

Sparisce Piombino e se ne va Bekaert: una coincidenza …

Bekaert non era di certo vitale per Ilva-Piombino, ma Ilva-Piombino lo era certamente per Bekaert che, infatti, ha chiuso e se n’è tranquillamente andata in Polonia.

Marchionne, 18 maggio 2018 su Il Sole 24 ore: “FCA, l’Italia non è più un paese per auto di massa” a causa, si legge nell’articolo, dell’alto costo della manodopera.

Sempre a Maggio 2018, Giusy Caretto scrive su “Start Magazine” che, “secondo l’ultima rivoluzione di Marchionne”, solo Panda e 500 verranno prodotte in Europa (in Polonia anche loro, per l’esattezza).

In Italia FCA costruirà solo alto di gamma (Ferrari e Maserati). Siccome Marchionne era tutt’altro che uno sprovveduto ed era perfettamente al corrente del fatto che in Giappone la manodopera costa il doppio che in Italia, per non parlare della Germania, il motivo reale della dipartita dell’industria automobilistica dall’Italia deve essere un altro.

Nella classifica mondiale dei paesi produttori di auto, vediamo Cina, USA, Giappone Germania e Sud Korea ai primi 5 posti. L’Italia è solamente al 21esimo posto dietro ad Iran, Argentina, Indonesia e tanti altri.

Davanti a noi solo forti produttori di acciaio. A Torino oggi vengono prodotte meno di 50.000 auto, rispetto ad un picco di 600.000 nel passato: non esistono più acciaierie a Torino.

Chiusa Bagnoli (finita Alfa Romeo), svenduta e spolpata Terni (prossima alla chiusura), con Taranto nella condizione succitata, chi mai produrrà l’acciaio per le carrozzerie delle moderne auto in Italia (il cosiddetto “exposed steel”)? Cosa avrà mai voluto dire Marchionne con il suo “l’Italia non è più un paese per l’auto di massa”?

È ancora un paese industriale l’Italia? Non è compito dei governi quello di difendere il lavoro e il benessere dei propri cittadini? Energia (fotovoltaico, eolico offshore, ciclo combinato a gas, riqualificazione della Rete (Elettrica) di Trasporto Nazionale, acciaierie (Ilva), produttori di auto elettriche per l’Europa, questo è il Sud di cui ha bisogno immediatamente l’Italia. Chi può costruirlo se non un Governo che si ponga alla guida di questa rivoluzione cacciando gli speculatori ed i ciarlatani.